I-Doser.com: lo sballo virtuale. È l’ultima moda: drogarsi su Internet senza ingerire alcuna sostanza grazie ad I-doser.com.
È facilissimo: basta scegliere la sostanza, caricarla sul lettore mp3, indossare gli auricolari e rilassarsi.
È questa la nuova formula della droga 2.0 secondo quelli di I-Doser che studiano approfonditamente le onde celebrali e i loro effetti sulla nostra mente. Attraverso una serie di particolari onde celebrali secondo un ordine ben preciso, permettono di ricreare alcuni stati mentali.
Una continua evoluzione: dalle sostanze naturali a quelle sintetiche, fino alla deriva attuale: le sostanze virtuali o cyber-droghe. Non è fantascienza, ma realtà già da qualche anno. Tra le sostanze possibili da provare vi è il fumo di sigaretta, l’alcool o il vino, i calmanti, droghe di vario genere, sesso… Tanti, dunque, gli stati che questa nuova forma musicale è in grado di ricreare.
Il fenomeno si chiama appunto I-Doser, è nato negli Stati Uniti e sta sbancando in Europa, dove ha attecchito soprattutto in Spagna, per poi diffondersi in modo rapido anche negli altri paesi. Italia compresa.
I giovani che stanno impazzendo per gli stupefacenti e allucinogeni virtuali disponibili per pochi euro sulla Rete. Basta scaricarli subito ad un modico prezzo o comprarli su CD o MP3 e ‘ascoltarli’ a casa propria a volontà e senza bisogno di fornitori e senza gli eventuali rischi legali. E si ottengono anche ‘prove’ gratuite. Una dose costa appena 3 euro, mentre un CD o MP3 con Peyotl, Cocaina, Marijuana e Oppio costano rispettivamente 16 e 13 euro e stessi prezzi per altri con Lsd, Extasis, Morfina e via dicendo. Prezzi assai inferiori a quelli delle sostanze vere e proprie. E con gli stessi risultati, senza pericolo, e nessuna assuefazione, secondo i Laboratori I-Dosers che dagli Stati Uniti hanno messo in commercio i software a loro volta rilanciati da siti spagnoli.
Il sistema funziona sulla base dei cosiddetti ‘battiti binaurali’ (dall’inglese: binaural beats) sperimentati sul cervello negli anni Settanta dal dr. Gerald Oster alla clinica newyorkese Mount Sinai, e che consistono nell’applicare frequenze herziane diverse ai due orecchi per stimolare il cervello a seconda della loro intensità. Le frequenze cerebrali vanno da 1 a 4 Hz per il livello Delta, quello del sonno profondo, fino ad un massimo di 30Hz allo stato vigile che corrisponde alla frequenza Beta, passando per Theta e Alfa, uno stato quest’ultimo di semiveglia usato nei sistemi di Controllo Mentale perché consente di sincronizzare i due emisferi potenziando l’attività cerebrale.
Le ‘dosi’ proposte da I-Doser si ottengono applicando, con auricolari, alte frequenze asincrone ai due orecchi, per esempio 500 e 510 Hz rispettivamente, causando nel cervello un tono di 10 Hz cioe’ in pieno livello Alfa e favorendo così gli effetti di alterazione della percezione.
Non mancano i ‘siti’ internet che utilizzano i ‘battiti binaurali’ per favorire la meditazione, il sonno o curare il mal di testa, ma nessuno li aveva applicati alle droghe.
Non stupisce quindi che l’interesse dei giovani spagnoli, grandi consumatori di stupefacenti, per le droghe virtuali, emerso nei chats e blogs, ha cominciato a provocare l’interesse dei media. Dapprima Rolling Stones America Latina ed ora uno dei principali quotidiani spagnoli, Abc, con un lungo articolo sul tema intitolato ‘Droghe virtuali, farsi in rete’. Abc ha intervistato Enric Munar, docente di psicologia all’Universita’ delle isole Baleari e uno dei maggiori esperti in Spagna sulla percezione.
Secondo Munar l’offerta di droghe virtuali è il frutto di un software che mette in rapporto le diverse frequenze con i vari tipi di droga utilizzando gli studi esistenti sulla tossicomania. Ma, sentenzia, ‘tutto ciò ha molto a che fare con la suggestione e poco con la scienza’. Leggendo i consumatori in Rete, le cose non sembrano però così semplici e le reazioni diverse a seconda della persona e del luogo. In alcuni casi non succede niente, in altri il consumatore si addormenta e in altri ancora esclama: ‘hei, questa roba e’ super!’.
Ma come è nato l’allarme droghe virtuali?
L’allarme è stato lanciato dal GAT il Nucleo Speciale Frodi Telematiche della Guardia di Finanza, che ha scoperto la novità nei blog e nei forum dove i giovani si scambiano informazioni.
Le community online, infatti, sono i luoghi di spaccio della cyber-droga, che riproduce gli effetti delle sostanze tradizionali, ma è ovviamente diversa per la modalità di somministrazione. Come già accennato, non va né ingerita, né inalata, tantomeno fumata. Basta scaricare il software I-Doser, rilassarsi e indossare le cuffie.
Come spiegato dal colonnello del GAT Umberto Rapetto “Le nuove cyber droghe, infatti, sono normali file in mp3. “Agiscono sulle onde a bassa frequenza soprattutto quelle che vanno dai 3 ai 30 hertz, ossia le frequenze della fascia di lavoro del cervello.
L’orecchio assorbe questi suoni che non riesce a distinguere e che, nella maggior parte dei casi, sono mescolati a musiche psichedeliche”.
Proprio perché gioca con diverse lunghezze d’onda e perché fatto di suoni impercettibili, se ascoltati da un solo orecchio, i file non producono alcun effetto. Di qui la necessità delle cuffie.
Come qualsiasi mp3, i file droganti sono recuperabili attraverso i programmi peer to peer o in alcuni siti appositamente creati per diffondere l’I-Doser.
Lo spaccio virtuale segue gli stessi meccanismi di quello convenzionale. “L’I-Doser all’inizio viene regalato come una dose tradizionale, scaricare i file è quindi gratuito. Dopo, per procurarsela bisogna pagare dai 5 ai 10 euro”, dice il colonnello Rapetto. “E su questo si può immaginare anche una speculazione del crimine organizzato, sebbene ci sia una fondamentale differenza rispetto alle droghe tradizionali: le dosi virtuali sono utilizzabili più volte”.
E ancora diversamente dal mercato convenzionale delle droghe, non esistono divieti per l’I-Doser, che è dunque legale in quanto non regolamentato.
Per ora non è stato accertato quali danni possa arrecare la cyber- droga, né se dia dipendenza. “Il fenomeno è agli albori”, afferma Rapetto. “Chi diffonde i file sostiene che non ci siano effetti collaterali, che le dosi provocano delle semplici sbornie, ma è bene che a stabilirlo siano i medici”.
Poi il colonello mette in guardia: “L’I-Doser potrebbe diventare un nuovo fenomeno sociale. Ora non siamo in grado di dire quali ripercussioni possa avere su chi ne fa uso, ma se dovesse avere gli effetti degli stupefacenti, la cosa potrebbe diventare pericolosa. E allora è necessario il coinvolgimento di tutte le realtà competenti, dai ricercatori agli psicologi”.
La fabbrica delle emozioni artificiali che ha sfornato distruzioni sintetiche come LSD, extasy e crack, con l’I-Doser sfida il terzo millennio.
E gli utenti in cerca della loro dose di sballo virtuale non mancano.
Ma si può davvero parlare di droghe virtuali?
Sembra che l’allarme, rilanciato da diversi media italiani non trovi riscontri particolari.
Il blogger cacciatore di bufale Paolo Attivissimo ha provato ad indagare: “Vero: si trovano nei circuiti P2P file audio di questo genere. Ma sono davvero droganti? Ne ho scaricati alcuni tramite amici e li ho ascoltati in cuffia. Non hanno prodotto alcun effetto, se non quello di una notevole irritazione (in gergo tecnico, orchiclastia), perché non è musica: è rumore fastidiosissimo. Ma qualcuno di coloro che ne parlano li ha provati ed ha verificato che danno sballo, ha della letteratura medica a supporto, oppure si tratta dell’ennesima stupidata inventata da chi non capisce granché di tecnologia e usa queste cose per vendere fumo o per criminalizzare chi usa il peer to peer?”.
Al Messaggero poi la GdF quasi rettifica: “Dovremmo prima averla provata, cosa che ovviamente non abbiamo fatto. Siamo ancora in una fase di monitoraggio del fenomeno avvertiti dai colleghi degli Usa, abbiamo notato che anche in Italia si sta diffondendo, abbiamo trovato commenti, post sull’argomento”, dice il colonnello Repetto, che poi però insinua un nuovo dubbio: “Verificare se nei file ci siano nascosti messaggi subliminali“.
Interpellato dal giornale romano anche il neurofarmacologo Felice Nava, che porta concretezza al dibattito: “Non ci sono studi scientifici o report anche aneddotici che possano far pensare che alcune musiche possono determinare fenomeni neurobiologici del tutto simili a quelli prodotti dalle più pericolose sostanze d’abuso. È una trovata commerciale ideata da astuti e loschi personaggi, con il solo scopo di arricchirsi sfruttando la credulità e la voglia di sballo a ogni costo di alcuni ingenui giovani cibernauti“.
Insomma, allarme infondato? Davvero quei suoni procurano al massimo del mal di testa?
In attesa che siano compiuti studi scientifici accurati sulle cyber droghe presenti in rete in modo da chiarire la reale pericolosità o meno nell’assunzione di tali “sostanze”, è bene non sottovalutare il fenomeno, considerato il fatto che è in costante crescita e diffusione.